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LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA SI PRONUNCIA SUGLI ACCORDI TRA IMPRESE CHE FALSANO LA CONCORRENZA

Con la sentenza del 29 giugno 2023 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla domanda del Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona, Portogallo) di interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE nonché dell’articolo 4, lettera a), del regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate e degli orientamenti sulle restrizioni verticali.

La domanda pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Super Bock Bebidas SA, una società con sede in Portogallo, e l’Autoridade da Concorrência (autorità della concorrenza portoghese). Quest’ultima aveva contestato alla società portoghese di aver stipulato accordi di distribuzione esclusiva con distributori indipendenti che violavano le regole di concorrenza e a tale titolo infliggeva loro ammende.

La Super Bock Bebidas SA ha prima adito il Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisã (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza), il quale ha confermato la decisione dell’ Autoridade da Concorrência, poi ha interposto appello innanzi al Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona), il quale ha proposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per ottenere chiarimenti sull’interpretazione dell’articolo 101 TFUE.

In primo luogo il giudice di rinvio ha chiesto se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la contestazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita costituisce una “restrizione della concorrenza per oggetto” può essere effettuata senza esaminare in via preliminare se tale accordo rilevi un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza o se si possa presumere che tale accordo presenti, di per sé, un siffatto grado di dannosità.

La Corte nell’esaminare la questione, ha preliminarmente proceduto all’inquadramento della normativa di riferimento. L’art. 101, paragrafo 1, TFUE, vieta, perché incompatibili con il mercato interno, tutti gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano “per oggetto o per effetto” di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno.  Richiamando dei precedenti giurisprudenziali, la Corte ha spiegato che nell’esaminare se l’accordo è anticoncorrenziale e ricade nel divieto sancito dall’art. 101 TFUE è necessario innanzitutto considerare l’oggetto dell’accordo, nel caso in cui venga dimostrato che l’oggetto è anticoncorrenziale, non è necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza (CGUE 20/01/2016 C-373/14). A tal riguardo, la nozione di “restrizione della concorrenza per oggetto” deve essere interpretata restrittivamente, potendo essere applicata solo ad alcuni tipi di accordi che presentano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (CGUE 26/11/2015 C-345/14). Per valutare se il grado di dannosità per la concorrenza sia sufficiente occorre far riferimento al tenore delle disposizioni dell’accordo, agli obbiettivi che esso mira a raggiungere e all’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale l’accordo si colloca.

La seconda questione esaminata dai giudici di Lussemburgo concerne la nozione di “accordo” ai sensi dell’art. 101 TFUE. Conformandosi alla costante giurisprudenza, la Corte ha chiarito che affinché sussista un «accordo», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è sufficiente che le imprese di cui trattasi abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in un determinato modo. La comune volontà delle parti può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione, sia dal comportamento delle parti, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita.

Inoltre, la Corte ha chiarito che sotto il profilo probatorio, l’esistenza dell’accordo tra fornitore e distributore può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche tramite indizi oggettivi e concordanti.

L’ultima questione posta al vaglio della Corte è se il requisito del pregiudizio tra Stati membri previsto dall’ art. 101 TFUE possa risultare integrato anche se l’accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità e non alla totalità dello stato membro. Richiamando le sue precedenti pronunce, la Corte ha chiarito che anche un’intesa che copre solo una parte del territorio di uno Stato membro può, in determinate circostanze, essere in grado di pregiudicare il commercio transfrontaliero (CGUE 3/12/1987). È compito del giudice valutare se l’accordo sia in grado di pregiudicare sensibilmente il commercio tra Stati membri e tale valutazione deve essere effettuata alla luce del contesto economico e giuridico in cui viene concluso l’accordo.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Giustizia ha pronunciato i seguente principii di diritto: 1) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che: la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita comporta una restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere effettuata solo dopo aver stabilito che tale accordo rivela un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, tenuto conto del tenore delle sue disposizioni, degli obiettivi che esso mira a raggiungere nonché dell’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale esso si inserisce.

2) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che: sussiste un «accordo», ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati, nei limiti in cui l’imposizione di tali prezzi da parte del fornitore e il loro rispetto da parte dei distributori siano l’espressione della comune volontà di tali parti. Tale comune volontà può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione di cui trattasi, qualora esso contenga un invito esplicito a rispettare prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore ad imporre siffatti prezzi, sia dal comportamento delle parti e, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita.

3) L’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con il principio di effettività, deve essere interpretato nel senso che: l’esistenza di un «accordo», ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche mediante indizi, oggettivi e concordanti, da cui si può dedurre l’esistenza di un siffatto accordo.

4) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che: la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità, ma non alla totalità, del territorio di uno Stato membro non impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri.

Margherita Tenneriello

Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 giugno 2023 C-211-22

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