LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA SI PRONUNCIA SUGLI ACCORDI TRA IMPRESE CHE FALSANO LA CONCORRENZA
Con la sentenza del 29 giugno 2023 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla domanda del Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona, Portogallo) di interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE nonché dell’articolo 4, lettera a), del regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate e degli orientamenti sulle restrizioni verticali. La domanda pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Super Bock Bebidas SA, una società con sede in Portogallo, e l’Autoridade da Concorrência (autorità della concorrenza portoghese). Quest’ultima aveva contestato alla società portoghese di aver stipulato accordi di distribuzione esclusiva con distributori indipendenti che violavano le regole di concorrenza e a tale titolo infliggeva loro ammende. La Super Bock Bebidas SA ha prima adito il Tribunal da Concorrência, Regulação e Supervisã (Tribunale della concorrenza, regolamentazione e vigilanza), il quale ha confermato la decisione dell’ Autoridade da Concorrência, poi ha interposto appello innanzi al Tribunal da Relação de Lisboa (Corte d’appello di Lisbona), il quale ha proposto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per ottenere chiarimenti sull’interpretazione dell’articolo 101 TFUE. In primo luogo il giudice di rinvio ha chiesto se l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE debba essere interpretato nel senso che la contestazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita costituisce una “restrizione della concorrenza per oggetto” può essere effettuata senza esaminare in via preliminare se tale accordo rilevi un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza o se si possa presumere che tale accordo presenti, di per sé, un siffatto grado di dannosità. La Corte nell’esaminare la questione, ha preliminarmente proceduto all’inquadramento della normativa di riferimento. L’art. 101, paragrafo 1, TFUE, vieta, perché incompatibili con il mercato interno, tutti gli accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano “per oggetto o per effetto” di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno. Richiamando dei precedenti giurisprudenziali, la Corte ha spiegato che nell’esaminare se l’accordo è anticoncorrenziale e ricade nel divieto sancito dall’art. 101 TFUE è necessario innanzitutto considerare l’oggetto dell’accordo, nel caso in cui venga dimostrato che l’oggetto è anticoncorrenziale, non è necessario indagare i suoi effetti sulla concorrenza (CGUE 20/01/2016 C-373/14). A tal riguardo, la nozione di “restrizione della concorrenza per oggetto” deve essere interpretata restrittivamente, potendo essere applicata solo ad alcuni tipi di accordi che presentano un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente perché si possa ritenere che l’esame dei loro effetti non sia necessario (CGUE 26/11/2015 C-345/14). Per valutare se il grado di dannosità per la concorrenza sia sufficiente occorre far riferimento al tenore delle disposizioni dell’accordo, agli obbiettivi che esso mira a raggiungere e all’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale l’accordo si colloca. La seconda questione esaminata dai giudici di Lussemburgo concerne la nozione di “accordo” ai sensi dell’art. 101 TFUE. Conformandosi alla costante giurisprudenza, la Corte ha chiarito che affinché sussista un «accordo», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, è sufficiente che le imprese di cui trattasi abbiano espresso la loro volontà comune di comportarsi sul mercato in un determinato modo. La comune volontà delle parti può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione, sia dal comportamento delle parti, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita. Inoltre, la Corte ha chiarito che sotto il profilo probatorio, l’esistenza dell’accordo tra fornitore e distributore può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche tramite indizi oggettivi e concordanti. L’ultima questione posta al vaglio della Corte è se il requisito del pregiudizio tra Stati membri previsto dall’ art. 101 TFUE possa risultare integrato anche se l’accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità e non alla totalità dello stato membro. Richiamando le sue precedenti pronunce, la Corte ha chiarito che anche un’intesa che copre solo una parte del territorio di uno Stato membro può, in determinate circostanze, essere in grado di pregiudicare il commercio transfrontaliero (CGUE 3/12/1987). È compito del giudice valutare se l’accordo sia in grado di pregiudicare sensibilmente il commercio tra Stati membri e tale valutazione deve essere effettuata alla luce del contesto economico e giuridico in cui viene concluso l’accordo. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Giustizia ha pronunciato i seguente principii di diritto: 1) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che: la constatazione che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita comporta una restrizione della concorrenza «per oggetto» può essere effettuata solo dopo aver stabilito che tale accordo rivela un grado sufficiente di dannosità per la concorrenza, tenuto conto del tenore delle sue disposizioni, degli obiettivi che esso mira a raggiungere nonché dell’insieme degli elementi che caratterizzano il contesto economico e giuridico nel quale esso si inserisce. 2) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che: sussiste un «accordo», ai sensi di tale articolo, quando un fornitore impone ai suoi distributori prezzi minimi di rivendita dei prodotti da esso commercializzati, nei limiti in cui l’imposizione di tali prezzi da parte del fornitore e il loro rispetto da parte dei distributori siano l’espressione della comune volontà di tali parti. Tale comune volontà può risultare sia dalle clausole del contratto di distribuzione di cui trattasi, qualora esso contenga un invito esplicito a rispettare prezzi minimi di rivendita o autorizzi, quanto meno, il fornitore ad imporre siffatti prezzi, sia dal comportamento delle parti e, in particolare, dall’eventuale esistenza di un assenso, esplicito o tacito, da parte dei distributori ad un invito a rispettare prezzi minimi di rivendita. 3) L’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con il principio di effettività, deve essere interpretato nel senso che: l’esistenza di un «accordo», ai sensi di tale articolo, tra un fornitore e i suoi distributori può essere dimostrata non solo mediante prove dirette, ma anche mediante indizi, oggettivi e concordanti, da cui si può dedurre l’esistenza di un siffatto accordo. 4) L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che: la circostanza che un accordo verticale di fissazione di prezzi minimi di rivendita si estenda alla quasi totalità, ma non alla totalità, del territorio di uno Stato membro non impedisce che tale accordo possa pregiudicare il commercio tra Stati membri. Margherita Tenneriello Sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 29 giugno 2023 C-211-22 scarica il testo integrale in PDF
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si pronuncia sull’indennità dell’agente commerciale dopo l’estinzione del contratto
Con la sentenza del 23 marzo 2023 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla domanda del Nejvyšší soud (Corte suprema della Repubblica ceca) di interpretazione dell’articolo 17 paragrafo 2 lettera a), della direttiva 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti. La sentenza della Corte trae origine dalla domanda proposta da un agente per ottenere la condanna del preponente al pagamento l’indennità di cessazione rapporto dovutagli ai sensi dell’articolo 669, paragrafo 1, del Codice del commercio ceco, che recepisce l’art. 17 paragrafo 2 lettera a), della direttiva 86/653. Il giudice di primo grado aveva respinto detta domanda motivando la non spettanza dell’indennità all’agente sulla base del fatto che quest’ultimo non avesse dimostrato che, dopo l’estinzione del contratto di agenzia, il preponente conservava sempre vantaggi sostanziali risultanti dalle operazioni con i clienti da lui acquisiti come disposto dal suddetto articolo. La decisione è stata confermata dal giudice d’appello e l’agente ha proposto ricorso per cassazione dinnanzi alla Corte suprema della Repubblica ceca, la quale ne ha infine investito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea per ottenere l’interpretazione dell’art. 17 paragrafo 2 lettera a) della direttiva 86/653 e sapere se l’espressione “provvigioni che l’agente commerciale perde”, ai sensi dell’articolo 17 debba essere interpretata nel senso che sono tali anche le provvigioni per la conclusione di contratti che l’agente di commercio avrebbe potuto procacciare se il contratto di agenzia commerciale fosse proseguito con i clienti da lui procurati al preponente o con i quali ha sensibilmente sviluppato gli affari. In caso di risposta affermativa, a quali condizioni tale conclusione si imponga anche per quanto riguarda le cosiddette provvigioni una tantum per la conclusione di un contratto. La Corte di Giustizia, nell’esaminare la prima questione, ha preliminarmente proceduto all’inquadramento della normativa di riferimento. L’articolo 17 della direttiva 86/653 disciplina le condizioni per cui un agente commerciale ha diritto a un’indennità dopo l’estinzione del contratto di agenzia e contiene precisazioni sulle modalità di calcolo di tale indennità. Il paragrafo 2, lettera a) di detto articolo precisa che il pagamento dell’indennità dovuta all’egente deve essere equo, per cui deve essere calcolato tenendo conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultino dagli affari con tali clienti. Riprendendo quanto osservato dall’avvocato generale nelle sue conclusioni, la Corte spiega che il diritto dell’agente ad avere un’indennità sorge se sono soddisfatte due condizioni cumulative: deve aver procurato nuovi clienti al preponente, o sviluppato sensibilmente gli affari con i clienti esistenti e il preponente deve beneficiare di sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con i clienti. Tali vantaggi sono quelli che il preponente continua a trarre dopo l’estinzione del contratto di agenzia, derivanti dai rapporti sviluppati tra l’agente e i clienti durante l’esecuzione del contratto. A detti vantaggi corrispondono le provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dai rapporti sviluppati con i clienti, che devono essere prese in considerazione perché il calcolo dell’indennità alla quale l’agente commerciale ha diritto dopo l’estinzione del contratto sia equo e quindi tenga conto di tutte le circostanze relative al contratto d’agenzia. Pertanto, le “provvigioni che l’agente commerciale perde”, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), secondo trattino, della direttiva 86/653, sono quelle che l’agente commerciale avrebbe dovuto ricevere se il contratto di agenzia si fosse protratto e corrispondenti ai vantaggi che il preponente continua a trarre dopo l’estinzione del contratto d’agenzia e risultanti da rapporti commerciali stabiliti o sviluppati da tale agente commerciale nel corso dell’esecuzione del contratto. Le suddette provvigioni devono essere prese in considerazione nella determinazione dell’indennità prevista dall’art. 17 paragrafo 2. A sostegno di tale interpretazione, la Corte ha richiamato le sue precedenti pronunce in cui ha chiarito che l’art. 17 deve essere interpretato in un senso che contribuisca alla tutela dell’agente commerciale e che tenga pienamente conto dei meriti che l’agente acquisisce nell’espletamento delle operazioni affidategli (sentenza del 7 aprile 2016 C-135/14) e che ogni interpretazione dell’articolo 17 che si risolva a deterioramento dell’agente deve essere esclusa (sentenza del 19 aprile 2018, C-645/16). Analizzando la seconda questione, la Corte spiega che “le provvigioni che l’agente commerciale perde” ai sensi dell’ articolo 17, paragrafo 2, lettera a) costituiscono solo uno dei vari elementi da valutare per il calcolo equo dell’indennità. La scelta di un certo tipo di provvigione, come, ad esempio, delle provvigioni una tantum, non può quindi rimettere in discussione il diritto all’indennità previsto da detta disposizione. Se così non fosse, sussisterebbe un rischio di elusione del carattere indisponibile di tale diritto all’indennità stabilito all’articolo 19 di detta direttiva. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, la Corte ha pronunciato i seguenti principii di diritto: “L’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 86/653/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che: le provvigioni che l’agente commerciale avrebbe percepito in caso di prosecuzione ipotetica del contratto di agenzia, per le operazioni che sarebbero state concluse, dopo l’estinzione di tale contratto di agenzia, con i nuovi clienti che egli ha procurato al preponente prima di tale estinzione, o con i clienti con i quali egli ha sensibilmente sviluppato gli affari prima di detta estinzione, devono essere prese in considerazione nella determinazione dell’indennità prevista all’articolo 17, paragrafo 2, di detta direttiva.” “L’articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 86/653 deve essere interpretato nel senso che: il versamento di provvigioni una tantum non esclude dal calcolo dell’indennità, prevista da tale articolo 17, paragrafo 2, le provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dalle operazioni realizzate dal preponente, dopo l’estinzione del contratto di agenzia commerciale, con i nuovi clienti che l’agente commerciale gli ha procurato prima di tale estinzione, o con i clienti con i quali quest’ultimo ha sensibilmente sviluppato gli affari prima di detta estinzione, quando tali provvigioni corrispondono a remunerazioni forfettarie per ogni nuovo contratto concluso con tali nuovi clienti, o con i clienti esistenti del preponente, con l’intermediazione dell’agente commerciale.” Margherita Tenneriello Sentenza della Corte Europea 23 mar 23 C57421 Scarica testo integrale in PDF
FALLIMENTO DEL PREPONENTE E APPLICAZIONE DELL’ ART. 72 L. FALL. AL RAPPORTO DI AGENZIA PENDENTE
Con la Sentenza n. 10046/2023 pubblicata in data14/04/2023 la Suprema Corte si è pronunciata in ordine alla vecchia legge fallimentare, oggi sostituita con il decreto legislativo 12/01/2019, n. 14, chiarendo che in caso di fallimento della preponente il rapporto di agenzia è regolato dall’art. 72 del regio decreto n. 267 del 1942, con la conseguente sospensione del rapporto a decorrere dalla dichiarazione di fallimento. La sentenza della Corte di Cassazione trae origine dall’opposizione di un agente di commercio avverso l’esclusione dallo stato passivo del fallimento della sua preponente, del suo credito per le indennità suppletiva di clientela e di mancato preavviso. Il Giudice di primo grado aveva rigettato l’opposizione motivando la non spettanza delle suddette indennità all’agente per la ritenuta inapplicabilità della regola generale di sospensione del rapporto prevista dall’art. 72 L. Fall., attesa la natura fiduciaria del rapporto di preposizione, ed il conseguente scioglimento automatico del contratto di agenzia in sostanziale analogia a quanto disporrebbe l’art. 78 L. Fall. in tema di mandato. L’agente ha impugnato e ne è scaturito il ricorso per cassazione all’origine della sentenza qui commentata. La Suprema Corte, nell’esaminare la questione, ha preliminarmente ribadito l’assenza di una disciplina specifica del contratto di agenzia nell’ambito dei rapporti pendenti di cui all’art. 72 L. Fall., che aveva portato la dottrina e la giurisprudenza, in epoca anteriore alla riforma della legge fallimentare per effetto dei decreti legislativi 9 gennaio 2006, n. 5 e 12 settembre 2007, n. 169, ad adottare posizioni differenti. Un primo orientamento riteneva applicabile al rapporto d’agenzia la regola generale dell’art. 72 L. Fall. che, anche se faceva espresso riferimento al contratto di vendita, era considerato espressione di un principio generale applicabile a tutti i contratti con prestazioni corrispettive (Cass. civ. 10 marzo 1988, n. 2385). Un diverso orientamento, per l’assimilazione del contratto di agenzia a quello di mandato, riteneva applicabile l’art. 78 L. Fall., ai sensi del quale il contratto di mandato si scioglieva per il fallimento di una qualsiasi delle parti (Cass. civ. 10 ottobre 1961 n. 2069). Sul punto, però, la Corte ha osservato che non è possibile, sulla base di un’interpretazione giuridicamente fondata, assimilare tipologicamente il rapporto di agenzia e quello di mandato. Nel sostenere tanto, la Corte ha, in primo luogo, richiamato una sua precedente pronuncia in materia (Cass. civ. 12 febbraio 2016, n. 2828) ed ha spiegato che ai fini della qualificazione del rapporto come mandato o agenzia, un ruolo determinate è assunto dal criterio della stabilità e dalla natura dell’incarico. Nel contratto di agenzia, infatti, i caratteri distintivi sono la continuità e la stabilità dell’obbligo per l’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente in una determinata sfera territoriale, realizzando con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale, mentre nel rapporto di mandato la promozione di determinati affari ha natura solo episodica ed occasionale, con le caratteristiche tipiche del procacciamento di affari ed in assenza di qualsivoglia vincolo di stabilità. Per tale ragione, la Corte ha ritenuto corretta l’applicazione al caso di specie della regola generale dell’art. 72, primo comma, L. Fall., a norma del quale l'esecuzione del contratto rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. Venendo all’esame della questione circa l’ammissibilità dell’agente allo stato passivo del fallimento per i crediti a titolo di indennità suppletiva di clientela e di mancato preavviso, la Corte ha, in primo luogo, chiarito che la fase di sospensione del contratto, prevista dall’art. 72 l. fall., deve essere risolta da una decisione definitiva del curatore di scioglimento o il subingresso nel contratto. In secondo luogo, la Corte richiamando precedenti di legittimità, ha spiegato che l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto di straordinaria amministrazione (Cass. civ. 2 dicembre 2011 e n. 25876; Cass. civ. 25 luglio 2019, n. 20215). Se lo scioglimento avviene, come nel caso in esame, a cura del creditore per fatto concludente, l’agente ha diritto ad essere ammesso allo stato passivo per i crediti a titolo di indennità sostitutiva di preavviso e suppletiva di clientela, i quali non hanno natura retributiva ma si configurano come un compenso indennitario volto a ristorare l'agente del pregiudizio. Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione ha pronunciato i seguente principii di diritto: “In caso di fallimento del preponente, al rapporto di agenzia pendente, si applica la regola generale di sospensione stabilita dall’art. 72, primo comma l. fall., in quanto non assimilabile tipologicamente a quello di mandato; e quand’anche ciò fosse ritenuto, comunque applicabile per l’assenza di “diverse disposizioni della presente Sezione”, per la previsione del testo dell’art. 78 l. fall., applicabile ratione temporis, di scioglimento del contratto di mandato per il fallimento del mandatario (idest: dell’agente) e non anche del mandante (idest: del preponente)”. “Qualora il rapporto di agenzia pendente sia sciolto per fatto concludente, con il provvedimento di esclusione dei crediti ad esso relativi dallo stato passivo del fallimento del preponente, l’agente ha diritto di esserne ammesso per i crediti maturati a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e suppletiva di clientela”. Margherita Tenneriello Cassazione civile n.10046-2023 scarica testo integrale
Nullità delle clausole inserite nel contratto di agenzia che attribuiscono al preponente il potere di modifica unilaterale della base di calcolo delle provvigioni
Con l’ordinanza n. 9365/2023 resa in data 05/04/2023 la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha confermato il principio di diritto espresso con le precedenti pronunce (Cass. n. 11003 del 1997 e Cass. n. 4504 del 1997) in tema di nullità delle clausole dei contratti di agenzia che attribuiscono al preponente il potere di modificare unilateralmente la base di calcolo delle provvigioni. L’ordinanza della Corte di Cassazione trae origine dalla domanda proposta da un agente per ottenere la condanna del preponente al pagamento delle differenze provigionali stornate in base a due clausole inserite nel contratto di agenzia che attribuivano allo stesso preponente la potestà di dedurre dalla base di calcolo delle provvigioni gli extra sconti concessi al cliente. Il Tribunale aveva accolto parzialmente le domande dell’agente ma, a seguito dell’impugnazione della pronuncia di primo grado da parte del preponente, la Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado, pur riconoscendo l’effettiva genericità e indeterminatezza delle clausole in questione, le ha ritenute legittime accertando il diritto del preponente di modificare di conseguenza l’ammontare degli affari su cui calcolare le provvigioni. Avverso la pronuncia della Corte d’Appello l’agente ha proposto ricorso in Cassazione deducendo l’illogicità, la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione con cui la Corte di Appello ha escluso la nullità denunziata. In particolare, ha sostenuto che con l’applicazione di tali clausole era rimessa esclusivamente alla volontà del preponente sia la scelta dei clienti a cui destinare gli extra sconti, sia l’entità economica degli stessi, così da concedere al preponente il potere di modificare unilateralmente la base di calcolo delle provvigioni senza alcun limite. La Suprema Corte di Cassazione, seguendo l’orientamento delineato nelle sentenze summenzionate, ha chiarito che il codice civile riconosce la possibilità di modificazioni unilaterali del contratto, ma è necessario che tali modifiche siano già predeterminate, attraverso caratteristiche intrinseche o limiti esterni, così da rendere possibile la formazione del consenso al momento della sottoscrizione del contratto su più oggetti determinati previsti come alternativi. La possibilità di modificare talune clausole del contratto non si deve tradurre in un sostanziale aggiramento della forza cogente del contratto ed è perciò necessario prevedere dei limiti a tale potere e, in ogni caso, che sia esercitato in osservanza dei principi di correttezza e buona fede. Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’agente, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Genova, affinché si attenga al seguente principio di diritto: nel contratto di agenzia, devono considerarsi nulle, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., le clausole formulate in modo tale da attribuire al preponente un potere illimitato di modifica unilaterale della base di calcolo e quindi dell'importo delle provvigioni, attraverso la facoltà di concedere extra sconti in misura non prestabilita e a un numero di clienti imprecisato, così rendendo non determinato e non determinabile un elemento essenziale del contratto, quale appunto la controprestazione dovuta dalla società all'agente. Margherita Tenneriello. scarica testo integrale ordinanza n. 9365.2023
Decreto Dirigenziale del 21 marzo 2023, in tema di Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa
Il Ministero della Giustizia ha pubblicato il Decreto Dirigenziale del 21 marzo 2023 che ha integrato il Decreto 28 settembre 2021, in tema di Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, al fine di adeguarlo alle novità apportate al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza dal Decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83. Il provvedimento è diviso in sei sezioni, la prima relativa al test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento. Questo test consente all’imprenditore di valutare in che misura sia ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa e, nel contempo, aiuta l’esperto a comprendere se vi sono concrete prospettive di risanamento. La seconda sezione introduce la Check-list (lista di controllo) particolareggiata per la redazione del piano di risanamento e per la analisi della sua coerenza. L’imprenditore, per accedere alla composizione negoziata, deve redigere un progetto di piano di risanamento seguendo le indicazioni della presente check list. La terza sezione regola il protocollo di conduzione della composizione negoziata, che contiene le istruzioni operative per la gestione della procedura di composizione negoziata. La quarta sezione contiene le linee guida per la formazione degli esperti coinvolti nella composizione negoziata della crisi d’impresa, in essa sono indicati i temi che dovranno essere oggetto della formazione specifica degli esperti, a qualunque categoria gli stessi appartengano. La quinta sezione regola la piattaforma per la composizione negoziata, che è rappresentata da un portale internet che rende disponibili due aree principali, una pubblica e una riservata ad utenti autorizzati. L’ultima sezione ha ad oggetto la scheda sintetica sul profilo professionale dell’esperto, che ha la funzione di agevolare le commissioni regionali nella selezione degli esperti indipendenti più adatti alle esigenze specifiche dell’impresa in crisi. Margherita Tenneriello Decreto-21-marzo-2023 Scarica testo integrale
Decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 30, Crowdfunding esteso alle S.r.l.
Il 24 marzo 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 30 emesso in attuazione del regolamento (UE) 2020/1503, relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese, che modifica il Regolamento (UE) 2017/1129 e la Direttiva (UE) 2019/1937. Il provvedimento, che entrerà in vigore l’8 aprile 2023, apporta alcune modifiche al Testo Unico in materia di intermediazione Finanziaria di cui al Decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF). La lettera a) del comma 1 dell’art. 1, attraverso un rinvio all'articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento (UE) 2020/1503, introduce nell’art. 1 comma 5 novies, D.lgs. 58/1998 la nozione di “servizio di crowdfunding”, definito come l’abbinamento tra gli interessi a finanziare attività economiche di investitori e titolari di progetti tramite l’utilizzo di una piattaforma di crowdfunding”, attraverso una delle seguenti attività: i) intermediazione nella concessione di prestiti; ii) collocamento senza impegno irrevocabile, di valori mobiliari e strumenti ammessi a fini di crowdfunding, emessi da titolari di progetti o società veicolo, e ricezione e trasmissione degli ordini di clienti, relativamente a tali valori mobiliari e strumenti ammessi a fini di crowdfunding. La lettera b) del comma 1 dell’art. 1 introduce nel TUF il nuovo articolo 4 sexies.1 che, in tema di vigilanza, individua la Banca d’Italia e la Consob come le autorità nazionali competenti, la prima ad assicurare l’osservanza degli obblighi imposti di trasparenza e correttezza dal Regolamento e la seconda ad assicurare l'osservanza degli obblighi imposti dal Regolamento in materia di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio e gestione degli intermediari. Inoltre, è previsto che per l'esercizio delle competenze e dei poteri loro attribuiti la Banca d’Italia e la Consob operino in modo coordinato anche al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui fornitori di servizi di crowdfunding. La lettera d) del comma 12 dell’articolo 1 riscrive l'articolo 100 ter del TUF ampliando la portata del crowdfunding, estendendolo anche alle S.r.l. Il primo comma del nuovo articolo 100 ter stabilisce che, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2468, primo comma, del Codice civile, le quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso le piattaforme di crowdfunding, nei limiti previsti dal Regolamento (UE) 2020/1503. Il secondo comma stabilisce poi che, in alternativa a quanto stabilito dall'articolo 2470, secondo comma, del Codice civile e dall'articolo 36, comma 1 bis, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, per la sottoscrizione e per la successiva alienazione di quote rappresentative del capitale di società a responsabilità limitata la sottoscrizione possa essere effettuata per il tramite di intermediari abilitati alla prestazione di uno o più dei servizi di investimento previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere a), b), c), c-bis), ed e) nei termini previsti nelle lettere successive. Margherita Tenneriello DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2023, n. 30 Scarica testo integrale
Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 28: la nuova azione rappresentativa
Il 23 marzo 2023 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo 10 marzo 2023 n. 28, emesso in attuazione della direttiva (UE) 2020/1828 del Parlamento europeo e del Consiglio, , relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori (direttiva che abroga la precedente n. 2009/22/CE). Il provvedimento, che entrerà in vigore il 7 aprile 2023, interviene sul Codice del consumo (d.lgs. 206/2005) con l’introduzione del Titolo II.1 rubricato “Azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori” (articoli da 140 ter a 140 quaterdecies). In particolare, il decreto introduce nel Codice del Consumo l’istituto dell’azione rappresentativa (la c.d. Class Action europea) a tutela degli interessi collettivi dei consumatori nel caso di violazione di norme di diritto dell’Unione Europea che ledono o possono ledere interessi collettivi dei consumatori. L’azione può essere esercitata solo da associazioni di consumatori e utenti inserite nell'elenco di cui all'articolo 137 del Codice del consumo, organismi pubblici nazionali (di cui all'articolo 3, n. 8, del regolamento (UE) 2017/2394) ed enti legittimati in altro Stato membro, iscritti in apposito elenco. Gli enti legittimati possono promuovere le azioni rappresentative senza bisogno di mandato da parte dei consumatori interessati. La domanda si propone con ricorso davanti alla sezione specializzata in materia di impresa competente per il luogo ove ha sede la parte resistente. Il procedimento è regolato dal rito semplificato di cui al libro secondo, titolo I, capo III quater del Codice di procedura civile, in quanto compatibile. L’azione rappresentativa, che può essere nazionale o transfrontaliera, è volta all'adozione di provvedimenti inibitori (articolo 140 octies) e provvedimenti compensativi (articolo 140 novies) nei confronti dei professionisti che violino specifiche disposizioni del diritto dell’Unione Europea. Le disposizioni del diritto dell’Unione Europea la cui violazione comporta l'esperibilità delle azioni sono richiamate nell’ allegato II septies del decreto e riguardano: responsabilità per danno da prodotti difettosi, clausole abusive, pratiche commerciali sleali, vendita e garanzia dei beni di consumo, indicazione dei prezzi, pubblicità ingannevole, trasporti, energia elettrica e gas, telefonia mobile, turismo, commercio elettronico e servizi digitali, protezione dei dati personali, sicurezza alimentare, assicurazioni, commercializzazione a distanza di servizi finanziari, prodotti e fondi d'investimento, credito ai consumatori, blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazioni. Le nuove disposizioni si applicheranno a partire dal 25 giugno 2023. Margherita Tenneriello D.LGS. 10 MARZO 2023 N. 28 Scarica il testo integrale
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulla clausola di proroga di giurisdizione contenuta nelle condizioni generali di contratto
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Applicabilità dell’articolo 101 TFUE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate alla luce del Regolamento n. 720/2022 della Commissione Europea
In data 10 maggio 2022 la Commissione dell’Unione Europea ha adottato il Regolamento n. 720/2022, modificando la disciplina relativa agli accordi verticali tra imprese e relative restrizioni contenuta nel Regolamento n. 330/2010, con particolare focus sull’applicabilità dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) in tale ambito, adattando le disposizioni in materia all’evoluzione dei mercati di riferimento, soprattutto alla luce dell’avvento della c.d. digital age. Le Linee Guida allegate al Regolamento contengono disposizioni volte a consentire alle imprese di effettuare le proprie valutazioni circa la conformità degli accordi verticali conclusi alle regole comunitarie sulla concorrenza, e dunque ad incentivare la corretta applicazione del menzionato art. 101 TFUE. In particolare, ai paragrafi n. 3.2 e ss. le Linee Guida chiariscono, tra il resto, quali categorie di contratti di agenzia ricadano nell’ambito di applicazione del Regolamento n. 720/2022 e quali, al contrario, ne siano esclusi. Il Regolamento entra in vigore il 1° giugno 2022 ed avrà efficacia sino al 31 maggio 2034. Il Regolamento n. 720/2022 L’art. 101 TFUE dispone al primo comma che sono incompatibili con il buon funzionamento del mercato interno, e dunque vietati, gli accordi tra imprese, le decisioni di associazioni tra imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri, se aventi per oggetto o per effetto l’impedimento, la restrizione o la distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comunitario. L’art. 2 del Regolamento in commento prevede che il divieto imposto dal primo comma dell’art. 101 TFUE non trovi applicazione con riferimento agli accordi verticali, per tali intendendosi quegli accordi o quelle pratiche concordate tra due o più imprese, operanti ciascuna, ai fini dell'accordo o della pratica concordata, ad un livello differente della catena di produzione o di distribuzione, e che si riferiscono alle condizioni in base alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi, e ciò solo nella misura in cui contengano le cc.dd. restrizioni verticali, consistenti nelle restrizioni della concorrenza di cui all’art. 101 comma primo TFUE. Al paragrafo 3.1(25) delle Linee Guida allegate al Regolamento è specificato che le disposizioni ivi contenute si riferiscono unicamente agli accordi ricompresi nell’ambito di applicabilità dell’art. 101 TFUE; sono in primo luogo esclusi gli accordi che non sono in grado di pregiudicare sensibilmente il commercio tra Stati membri, e cioè quegli accordi con riferimento ai quali non siano superate le seguenti soglie: i) la quota di mercato aggregata riconducibile alle parti dell’accordo su qualsiasi mercato rilevante all'interno dell'Unione, interessato dall'accordo, è inferiore al 5%; e ii) il fatturato annuo del fornitore generato con i prodotti oggetto dell'accordo è inferiore a 40 milioni di Euro. Sono altresì esclusi dall’ambito di applicabilità dell’art. 101 TFUE e del Regolamento in commento gli accordi verticali che non siano idonei ad alterare sensibilmente la concorrenza, per tali intendendosi quegli accordi conclusi da imprese non concorrenti ove la quota di mercato detenuta da ciascuna delle parti dell’accordo non superi il 15% in nessuno dei mercati rilevanti interessati dall’accordo stesso, seppure con le eccezioni di cui al paragrafo 3.1(26). A norma del comma quarto dell’art. 2 del Regolamento, l’esenzione di cui al comma primo non trova applicazione con riferimento agli accordi verticali conclusi tra imprese – effettivamente o potenzialmente – concorrenti, a meno che le stesse non concludano un accordo verticale non reciproco, ovvero a meno che non ricorra una delle seguenti condizioni: i) il fornitore opera, a monte, come produttore, importatore o grossista e, a valle, come importatore, grossista o distributore di beni, mentre l'acquirente opera a valle come importatore, grossista o distributore e non è un'impresa concorrente a monte, livello al quale acquista i beni oggetto del contratto; o ii) il fornitore è un prestatore di servizi a differenti livelli della catena commerciale, mentre l'acquirente fornisce i propri beni o servizi al livello del commercio al dettaglio e non è un'impresa concorrente al livello della catena commerciale in cui acquista i servizi oggetto del contratto. L’art. 4 del Regolamento individua, invece, le restrizioni che eliminano il beneficio dell’esenzione per categoria – cc.dd. restrizioni fondamentali – disponendo che l’esenzione di cui all'art. 2 non si applica agli accordi verticali che, direttamente o indirettamente, abbiano per oggetto: i) la restrizione della facoltà dell'acquirente di determinare il proprio prezzo di vendita (fatta salva la possibilità di imporre o raccomandare un prezzo massimo); ii) qualora il fornitore gestisca un sistema di distribuzione esclusiva, la restrizione relativa al territorio in cui, o ai clienti ai quali, il distributore esclusivo può vendere attivamente o passivamente i beni o servizi oggetto del contratto, fatte salve le eccezioni di cui ai punti nn. 1-5 par. b); iii) qualora il fornitore gestisca un sistema di distribuzione selettiva, la restrizione relativa al territorio in cui o ai clienti ai quali i membri del sistema possono attivamente o passivamente vendere i beni o i servizi oggetto del contratto (eccettuate le restrizioni di cui ai punti nn. 1-5 par. c), ovvero la restrizione delle forniture incrociate tra i membri del sistema di distribuzione selettiva, ovvero ancora la restrizione delle vendite attive o passive agli utenti finali da parte dei membri di distribuzione selettiva operanti a livello del commercio al dettaglio; iv) qualora il fornitore non utilizzi né un sistema di distribuzione esclusiva né un sistema di distribuzione selettiva, la restrizione relativa al territorio in cui o al gruppo di clienti ai quali un acquirente può vendere attivamente o passivamente i beni o servizi oggetto del contratto, eccettuate le restrizioni di cui ai punti nn. 1-5 par. d); v) la pratica di impedire l'uso efficace di internet da parte dell'acquirente o dei suoi clienti per vendere i beni o servizi oggetto del contratto; vi) la restrizione, pattuita tra un fornitore di componenti e un acquirente che incorpora tali componenti, della facoltà del fornitore di vendere tali componenti come pezzi di ricambio. Inoltre, all’art. 5 è espressamente stabilito che non godono dell’esenzione di cui all’art. 2 gli accordi verticali che impongano: i) obblighi di non concorrenza di durata indeterminata o superiore a cinque anni; ii) l’obbligo di non produrre, acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi in capo all’acquirente, una volta giunto a scadenza l’accordo; iii) l’obbligo di non vendere marchi di particolari fornitori concorrenti, in capo ai membri di un sistema di distribuzione selettiva; iv) l’obbligo che impedisca agli acquirenti di servizi di intermediazione online di offrire, vendere o rivendere beni o servizi agli utenti finali a condizioni più favorevoli attraverso servizi di intermediazione online concorrenti. Le disposizioni delle Linee Guida in materia di contratti di agenzia Nei paragrafi n. 3.2. e ss. delle Linee Guida, la Commissione ha chiarito quali contratti di agenzia rientrino nell’ambito di applicabilità dell’art. 101 TFUE, e quali no. Trovando l’articolo appena menzionato applicazione nell’ambito degli accordi conclusi tra imprese o inseriti nell’ambito di decisioni di associazioni tra imprese, il divieto dal medesimo imposto non opera con riguardo a quei contratti di agenzia – recanti disposizioni rilevanti ai fini della disciplina in commento - con riferimento ai quali, nel rapporto con il proprio preponente, l’agente non agisce quale operatore economico indipendente. Pertanto, esulano dall’ambito di applicabilità dell’art. 101 primo comma TFUE i contratti di agenzia conclusi con l’agente che non assuma alcun rischio economico o commerciale significativo in relazione ai contratti conclusi o negoziati per conto del preponente. E così, a titolo esemplificativo e non esaustivo, in tutti i casi in cui: i) l’agente non acquisti la proprietà dei beni acquistati o venduti in esecuzione del contratto di agenzia; ii) l'agente non contribuisca ai costi relativi alla fornitura o all'acquisto dei beni o servizi oggetto del contratto, compresi i costi di trasporto dei beni; iii) l'agente non custodisca a proprie spese i beni oggetto dei contratti conclusi per conto del preponente; iv) l'agente non assuma la responsabilità per l'inadempimento delle obbligazioni scaturenti dai contratti conclusi per conto del preponente; v) l'agente non assuma la responsabilità nei confronti dei clienti o di altri terzi per perdite o danni derivanti dalla fornitura di beni o servizi oggetto dei contratti conclusi per conto del preponente; vi) l'agente non si obblighi, direttamente o indirettamente, ad investire nella promozione delle vendite, anche attraverso contributi al budget pubblicitario del preponente o ad attività pubblicitarie o promozionali; vii) l'agente non effettui investimenti specifici per il mercato di riferimento in attrezzature, locali, formazione del personale o pubblicità; viii) l'agente non intraprenda altre attività all'interno dello stesso mercato di riferimento richieste dal preponente nell'ambito del rapporto di agenzia, se non integralmente rimborsate. Al contrario, rientrano nell’ambito di operatività della norma in commento gli accordi tra agente e preponente in forza dei quali il primo assuma uno o più rischi rilevanti. In tale situazione, questi sarà trattato alla stregua di un’impresa indipendente e gli accordi dal medesimo conclusi con il preponente saranno trattati alla stregua di qualsiasi altro accordo verticale. Dott.ssa Carlotta Varesio Scarica qui il testo del Regolamento n. 720/2022 della Commissione dell'Unione Europea Scarica qui le Linee Guida allegate al Regolamento n. 720/2022 Scarica qui il testo integrale dell'articolo
UNCITRAL, HCCH ed UNIDROIT pubblicano la "Legal Guide to Uniform Instruments in the Area of International Commercial Contracts"
Per diversi decenni la Conferenza dell’Aia di diritto internazionale privato (HCCH), la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) e l’Istituto internazionale per il diritto privato (UNIDROIT) hanno redatto testi volti a promuovere l’armonizzazione ed il costante aggiornamento della legge contrattuale del commercio internazionale. Nel corso del tempo, la HCCH, l’UNCITRAL e l’UNIDROIT hanno pubblicato, spesso cooperando tra loro, raccolte di norme di diritto internazionale uniforme rilevanti per il commercio, inteso quale insieme armonizzato e globale di principi condivisi volti ad agevolare gli scambi internazionali, con l’obiettivo di ridurre gli ostacoli giuridici che di volta in volta si frappongono nel flusso del commercio internazionale. Nel perseguire tale obiettivo, le tre organizzazioni hanno ora pubblicato la Guida in commento, volta ad illustrare in quale rapporto le anzidette raccolte di norme si pongano tra loro, ed in quale misura queste siano di volta in volta da considerarsi complementari le une nei confronti delle altre quando più di una convenzione risulta applicabile alla medesima transazione. In questo senso, pertanto, lo scopo della pubblicazione della Guida è quello di promuovere l’adozione della normativa uniforme in essa richiamata, e di proporne un’interpretazione univoca, con l’auspicio di porre le basi per un riferimento giuridico chiaro e flessibile per le transazioni commerciali transfrontaliere basato sul principio della libertà contrattuale, con particolare focus sui contratti di vendita internazionale, di permuta, di agenzia e di distribuzione. Clicca qui per scaricare il documento